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Ho mosso i primi passi nel mondo della musica pop nel periodo che ha visto i più grandi cambiamenti sulla scena canadese. Spero che la mia storia possa offrirvi un’altra prospettiva su ciò che accadde in quegli anni, a testimonianza, ancora una volta, che non esistono manuali o kit di istruzioni quando si inizia una carriera fondata sulla passione. |
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Non mi sono mai domandato perché la musica fosse la mia passione. Credo però che i miei genitori abbiano avuto un ruolo fondamentale. Mia madre, ciociara, amava cantare e mio padre, napoletano, si dilettava a suonare la chitarra. Quando stavano in compagnia dei loro amici, il vino scorreva e la musica riempiva la casa, così come tutti i miei ricordi di bambino, quando, seduto, guardavo le dita di mio padre muoversi lungo la tastiera della chitarra. Ero rapito dal suono che erano in grado di produrre. Non mi stancavo mai di ascoltarlo. Aveva un repertorio limitato che eseguiva all’infinito, ma non mi importava. Ardevo dal desiderio di toccare quella chitarra. |
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Ho dovuto aspettare la fine della scuola media per guadagnarmi il diritto
di prendere in mano quel magico strumento. Mi fu concesso dopo aver ricevuto
la medaglia all’onore in Applicazione e Personalità. Dal
quel momento la mia vita cambiò. Passavo ore ed ore a far scorrere
le mie dita su quelle 6 corde. Quella vecchia chitarra acustica di mio
padre era per me il più bell’oggetto del mondo. Dimenticai
presto i miei amici, i giochi e la mia amata bicicletta da corsa Torpado.
Avevo deciso di prendere la mia prima lezione ufficiale di chitarra quando
le mie dita sarebbero diventate abbastanza lunghe e forti da impugnare
correttamente la tastiera. Avevo 15 anni quando chiamai per un appuntamento.
Andai alla mia prima lezione carico di aspettative. Entrai in una stanza
6x4 e mi imbattei in un uomo molto imponente che fumava un sigaro puzzolente.
L’esperienza olfattiva mi disgustò a tal punto che decisi
di imparare a suonare da solo. |
Elvis Presley, Little Richard, The Ventures, Duane Eddy – a quei tempi andavano per la maggiore. Le canzoni erano belle, ma ciò che mi catturava erano gli effetti che gli artisti erano in grado di creare, specialmente con la chitarra. Non esisteva nient’altro per me. Era un chiodo fisso. La chitarra era l’unica cosa a cui pensavo, dopo la scuola, nei fine settimana, a cena, ovunque e sempre. Mangiavo a tavola tenendo con una mano la forchetta e con l’altra il plettro! A metà del liceo i miei amici cominciarono a notare che il mio stile si era evoluto. Mi stavo avvicinando ad Howard Roberts, a BB King e Albert King. Adoravo il blues. La musica mi aiutò in quegli anni anche a superare la mia timidezza. |
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Allora i ragazzi della mi età
pensavano alle automobili e alle corse, io alla musica e fu lei ad aiutarmi
con le ragazze. Ammetto che, oltre alla mia chitarra, anche le donne sono
state una costante presenza nella mia vita. |
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Mia madre morì durante il secondo anno del liceo e io dovetti fare i conti con una nuova vita. Fu in quel periodo che comprai una Fender Esquire e un amplificatore Fender Showman. Presto la mia quotidianità diventò la musica. Finita la scuola, dopo aver fatto i compiti e preparato la cena per mio padre, prendevo l’autobus per andare in centro a Montreal. Suonavo tre volte alla settimana in una band che sia chiamava The Soulmates al Grand National o all’ Esquire Show Bar - allora erano due dei club più importanti della R&B della città. Mi capitò di incontrare artisti R&B quali King Curtis e altri e di parlare con loro … è stata una grande esperienza! Diventavo sempre più bravo tanto da attirare l’attenzione del pubblico, che incominciò a notarmi. Ero molto più maturo dei ragazzi della mia età. Fu però un incontro del tutto casuale quello che mi regalò un’amicizia per la vita e che segnò l’inizio della mia carriera musicale. |
Era il 1967 e mi presentai in anticipo allo show all’Esquire che aveva come stella della serata un’artista dell’R&B chiamato TV Mama. In quell’occasione conobbi il batterista Buddy Myles. Diventammo presto amici. Quando lo show lasciò la città Buddy decise di fermarsi ancora un paio di settimane e trascorremmo tutto il tempo assieme improvvisando e andando nei ritrovi con altri musicisti di quell’epoca. Negli ultimi giorni del suo soggiorno ricevette una telefonata da New York. Era Wilson Pickett che lo chiamava per avere conferma della sua presenza al tour imminente. Durante la conversazione, Pickett parlò della necessità di rimpiazzare il suo chitarrista. |
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Rimasi shoccato quando Buddy propose il mio nome al leggendario Pickett. Quattro giorni dopo, un’altra telefonata da New York confermava la mia audizione per il 12 Maggio al Massey Hall di Toronto. Presi il treno e poi un autobus e mi ritrovai così seduto all’auditorium del Massey Hall aspettando che la band prendesse possesso del palco per la prova generale. |
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La band riscaldò gli strumenti con uno dei classici di Pickett chiamato 99½. Il chitarrista in effetti non era assolutamente all’altezza. Il “discolo” Pickett, come amava definirsi lui stesso, si presentò e la band si lanciò in una canzone per una sessione completa, ma poco dopo Pickett fermò la prova generale e si “mangiò letteralmente” il chitarrista. Si girò verso di me e mi chiamò sul palco. Mi presentò in modo caotico e con tono intimidatorio mi ordinò di suonare l’apertura della canzone. Feci un profondo respiro e lasciai che la chitarra andasse a tutta velocità. Non ero ancora giunto a metà quando lui fermò la canzone e rivolgendosi a me disse: “Benvenuto nel gruppo di Wilson Pickett. Vedi di essere a New York la prossima settimana”. Queste due frasi cambiarono completamente la mia vita. Avevo 18 anni e stavo per entrare far parte del più grande tour degli Stati Uniti insieme ad uno dei più grandi artisti dell’R&B di tutti i tempi… C’era uno solo piccolo problema che mi attendeva a Montreal. |
La reazione di mio padre fu quella che mi aspettavo. Inizialmente mi ripudiò, ma alla fine decise di lasciarmi andare, certo che altri fattori mia avrebbero fermato. Innanzitutto la mia cittadinanza italiana e in secondo luogo la mancanza della carta verde. Così fu. Due giorni dopo il mio primo tentativo di attraversare la frontiera in autobus con il mio passaporto italiano e la candida ammissione che stavo andando negli Stati Uniti per suonare in una band, fu un fiasco totale. |
Comunque
ne il poliziotto alla frontiera che mi rispedì indietro, ne mio
padre mi avrebbero fermato. Telefonai a Buddy che mi spiegò non
solo come andavano queste cose ma anche quale soluzione adottare. Spedì
la mia chitarra, e qualche giorno dopo presi l’autobus con un gruppo
di turisti che trascorreva il fine settimana negli Stati Uniti d’America!
Ho vissuto due degli anni più incredibili della mia gioventù
nel tour con il grande Wilson Pickett. Suonammo davanti a folle di 20.000,
30.000 persone. Artisti come Sam & Dave e Otis Redding aprivano le
serate. La reazione dei fan era assolutamente incredibile. All’inizio
ero semplicemente la prima chitarra ma con il tempo Pickett iniziò
ad usarmi nello show. Questo accadde dopo un incidente occorso nel nostro
primo tour nel sud degli Stati Uniti. Pickett conosceva molto bene come
andava il mondo. Era un uomo di grande professionalità. Non fu
facile comunque per lui occuparsi di me dal momento che ero il più
giovane ma sopratutto l’unico bianco del suo gruppo. Fu così
che al nostro primo show nel sud degli Stati Uniti ad Atlanta, Picket
decise di cambiare il format dello show senza avvisare nessuno preventivamente. |
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Eravamo 14 ragazzi, belli, massicci. Indossavamo tutti lo smoking e camice bianche di seta sotto la giacca. Alla fine di ogni show Picket ci presentava uno ad uno al pubblico. Noi ci limitavamo ad un breve inchino alla folla. Quella sera no. Mi chiamò e mi mise da solo di fronte al pubblico. Cominciò a parlare dell’anima e del colore della pelle di fronte ad una platea di colore, allora una platea di segregati. |
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Disse che era possibile essere bianchi ed avere un’anima nera e mi chiese di mostrare al pubblico il senso delle sue parole attraverso il suono della mia chitarra. La reazione del pubblico al mio assolo gli diede ragione. La band si unì e la serata terminò nel delirio generale della folla che cantava e ballava. Da quella sera quella divenne la chiusura standard per il resto del tour che doveva ancora toccare Alabama, Georgia, Texas, Arizona e, come ultima tappa, la California. Devo ammettere che fu una lezione di vita forte e decisamente unica. Ero l’unico bianco in mezzo a loro. Ho imparato presto cosa significasse vivere in un mondo razzista, bianco o nero che fosse, con o senza i miei compagni di viaggio. Wilson Pickett si accorse che ero riuscito a trarre il meglio dalle situazioni difficili. Avevo saputo gestirle anche grazie ai suoi consigli. Per questo lo ringrazio ancora oggi. Indipendentemente da queste difficoltà oggettive allora, nacquero profonde amicizie e ben presto Buddy ed io diventammo inseparabili. Vedevamo le cose allo stesso modo. Lentamente ci stancammo del mondo dell’R&B. Il tour era estenuante e ogni sera eseguivamo sempre le stesse cose. Iniziavamo a perdere le energie. Il glamour e l’eccitamento si affievolirono. Le cose cambiarono nel 1968 quando suonammo al RKO Theatre dove Pickett era l’artista principale della Music Marathon. |
Quell’edizione della Music Marathon segnò l’inizio di una nuova epoca. La lista dei partecipanti era composta da musicisti strabilianti, si trattava dunque di uno show di rottura nel panorama della storia della musica. Provate ad Immaginarvi Sonny e Cher che aprono con la loro hit ‘ I Got You Babe’… seguiti da The Blues Magoos e i Mandela- con il mio amico e talentuoso Dominic Troiano alla chitarra … I Young Rascals e poi i Cream alla loro prima apparizione nel Nord America: Ginger Baker, Jack Bruce e Eric Clapton con i loro amplificatori Marshall impilati a formare una colonna di 6 metri …e prima di chiudere con Pickett c’erano niente di meno che i Who. Pickett non si rassegnò mai all’idea di salire sul palco dopo i Who, |
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che lasciavano solo distruzione e fumo ogni volta. Dopo quell’esperienza l’unica cosa a cui potevo pensare era quella di levarmi lo smoking e di suonare da solo. Ma ci fu anche un altro fattore che mi forzò questa scelta: la salute di mio padre peggiorava. |
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